Dario Ferro vive da quasi vent’anni a Champdepraz, in Valle d’Aosta. Soprattutto d’estate, perché negli altri mesi dell’anno viaggia nelle regioni più selvagge del globo, per realizzare reportage fotografici.

 Tra i più noti e affermati reporter degli sport estremi –  è fotografo ufficiale Canon – Dario ha cominciato a cimentarsi con obiettivi e pellicole fin dagli anni dell’adolescenza. «È stata la montagna, a regalarmi la passione per la fotografia», racconta. «Colpa dei cieli della Vallée, dei colori dei boschi, dei riflessi della neve e dei ghiacciai, che potevo vedere solo per qualche ora prima di rientrare a casa. Finché ho capito che, grazie a qualche scatto fotografico, sarei riuscito a far durare nel tempo le sensazioni vissute».

 Prima le escursioni estive, poi lo sci. Mai in pista, ma sempre lungo pendii immacolati, al di là di skilift e funivie. Dario affina la tecnica di discesa col maestro valdostano Giovanni Marciandi, un’autorità nel campo del fuoripista, e poi si cimenta sul ripido con Giorgio Passino, amico e compagno di Stefano De Benedetti, famoso sciatore dell’estremo. L’estate per Ferro è invece la stagione dei torrenti ( è istruttore di canyoning e guida di hydrospeed), dell’arrampicata e dell’alpinismo.

Il giovane fotografo è affascinato soprattutto dall’azione, dai gesti eccezionali dei grandi sportivi. «In quegli anni mancava del tutto una fotografica capace di rappresentare da vicino i movimenti estremi. Mi sarebbe piaciuto fermare il tempo di quelle azioni fantastiche.

Negli anni ’80 tutti riprendevano le discese in sci dall’elicottero, ma mancava la vicinanza con il protagonista. Ho capito che se volevo realizzare gli scatti che avevo in mente, dovevo vivere la stessa situazione di chi era impegnato nella discesa, stare con lui nelle goulotte più vertiginose, seguirlo prima e dopo un passaggio spettacolare, star dentro all’azione e viverla, senza elicottero. Le mie prime fotografie degli sport estremi sono nate così. Per pura passione, per il gusto di vivere l’impresa dal di dentro, con i miei mezzi, stando sugli sci, appeso a una corda, con i ramponi ai piedi e la piccozza nell’unica mano libera».

In capo a qualche stagione, i primi servizi fotografici di Dario Ferro compaiono sulle più importanti riviste specializzate di montagna, Italiane ed Europee.  Negli anni ’80, la I.S.M: una tra le più importanti agenzie pubblicitarie lo convoca a Milano. Gli propone di mettere in piedi un team di atleti che praticano vari sport estremi per pubblicizzare un orologio e raccontare la filosofia dell’azienda che lo realizza. Dario diventa il fotografo ufficiale e direttore di produzione del No Limits Sector Team. Da quel momento, fino al 1998, comincia la stagione di Sector No Limits. Con atleti del calibro di Manolo, Mike Horn, Patrick De Gayardon, Chantal Mauduit, Umberto Pelizzari, Hans Kammerlander, Borge Housland, Barbara Brighetti, Angelo D’Arrigo e molti altri. Dario si occupa di fotografia e dirige le produzioni video per Sector, con registi come Didier Lafond, Michele Radici, Alessandro Gatti, Stefano De Benedetti. E gira il mondo. La Groenlandia, il Coca Canyon in Perù (il canyon più profondo della Terra), l’Amazzonia, la Russia asiatica, il Nepal, il Tibet, l’Alaska, l’Islanda, mari e montagna d’Europa, innumerevoli regioni del Sud America…

Nei ritagli di tempo, con gli amici del team, fa conferenze. Tutte per beneficenza. Lo scopo è quello di costruire un asilo in Ruanda, per i bambini bisognosi. Una bella iniziativa che approda a ottimi risultati grazie al concorso di tutti gli atleti Sector.

Lavora anche come fotografo in Formula 1, nella Coppa del Mondo di Sci e nella Coppa del Mondo di Arrampicata Sportiva.

Nel 1992 fonda,il No Limits Center Vertical Adventures,in Valle D’Aosta,(centro che dirige ancora oggi e punto di riferimento per gli appassionati di Canyoning), una scuola che consente a tutti di cimentarsi con l’avventura sui torrenti e in montagna.

Nel 1998, la scomparsa di Patrick De Gayardon e dell’alpinista Chantal Mauduit chiudono anzitempo l’esperienza No Limits. Per Dario è un momento duro. La scomparsa di due carissimi amici con cui aveva condiviso esperienze tanto impegnative non è facile da superare.

 Nel 1999 entra a far parte del C.N.A.S (Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico)

Ci vuole tempo. Ma pian piano, l’amore per la natura e lo sport, e la passione della fotografia fanno il miracolo. E la ruota della vita ricomincia a girare per il verso giusto.

 Oggi è impegnato in un progetto di lunghissima durata. Segue l’amico Mike Horn in un fantastico giro del mondo, parte a piedi e parte a bordo della Pangea, un veliero di 40 metri capace di sfidare l’oceano, costruita da Mike in una favela brasiliana.

Stavolta non si tratta però solo di un’avventura sportiva. Un’accurata selezione, svolta tra tutti i ragazzi che intervengono sul blog di Mike Horn, ha già permesso (e permetterà nel prossimo futuro) a un gruppetto di adolescenti, d’età compresa tra i 16 e i 19 anni, di seguire gli spostamenti di Horn e di approfondire l’aspetto ecologico dei luoghi visitati. Per molti giovani – sportivi, di buona cultura e capaci di relazionarsi agli altri anche nei momenti di difficoltà (basti pensare alla vita in barca in un tratto di traversata oceanica) – sarà un’occasione straordinaria per avvicinare realtà e mondi conosciuti solo attraverso i documentari televisivi.

La testimonianza e le storie dei ragazzi al seguito di Mike Horn saranno argomento di una grande conferenza a sfondo ambientale che si svolgerà nei prossimi anni a New York. Le prime tappe del progetto sono state l’Antartide e la Nuova Zelanda, e presto ci sarà la Polinesia. Ma seguiranno tanti altri luoghi, dalle isole del Pacifico alle regioni del Sud Est asiatico, dal deserto di Gobi alla Russia al Polo Nord, dallo Stretto di Bering all’Alaska, per continuare con il Canada e gli States, il Centro America e l’America Latina. Un sogno che sarà ampiamente documentato dagli scatti di un fotografo che ha saputo orientare la propria vita con la bussola della passione l’amore per l’avventura ed il profondo rispetto della natura.

 

Roberto Mantovani